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Sei cose eccetera. Quello che non sapevo, ma avrei voluto, quando mi apprestavo a diventare un’illustratrice

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Tostoini vostra nel 2019, durante sua fase “comparsa di Miami Vice”

 

Quest’anno compio cinque anni di lavoro freelance. I primi tre anni sono stati a mezzo servizio: frequentavo la scuola, andavo a lezione tutti i giorni, ho iniziato prima di essere pronta, luminoso esempio di sindrome di Dunning Kruger. Ma, d’altra parte, tutti guardandoci all’indietro abbiamo la sensazione di avere cominciato prima di essere pronti: è un miracolo che siamo sopravvissuti alla giovinezza, alla prima età adulta, al mese scorso, ad avant’ieri.

E invece sono andata a controllare e gli anni sono sono sei. Superato lo shock di essermene persa uno per strada, finito di respirare nel sacchetto di fronte alla caducità della vita, ho pensato che volevo solo scrivere un post per celebrare la cifra tonda, invece gli anni sono sei e non sono sicura di avere imparato sei cose in tutti questi anni, figuriamoci sei cose che avrei voluto sapere prima di cominciare! A meno che la prima non sia

1. Come passa il tempo quando ci si diverte, signora mia.

La seconda è meglio, giuro. La necessaria premessa è che sono tutte cose pratiche, al limite del prosaico, perché se c’è un vantaggio nel passare del tempo è che scopri che le faccende prosaiche sono la base senza le quali è difficile produrre qualcosa di valido, significativo, interessante. La retorica dell’artista travagliato quello è: retorica. Noi invece siamo adulti che vivono nel mondo e pur facendo un lavoro fighissimo – ossia farsi venire delle idee – è comunque lavoro. Per questo la seconda cosa che avrei voluto sapere prima di cominciare è

2. Saper leggere un contratto

Parlo solo della mia esperienza: non conosco tutti i programmi delle tante scuole di illustrazione. E a essere onesti al momento neanche della mia: sta attraversando un periodo di supercambiamento e non escludo che ci sia anche questo. Detto ciò, se devo giudicare dalle chiacchiere fatte con altri illustratori, la loro l’esperienza non è diversa: quasi nessuno esce da scuola avendo un’idea anche vaga su questo aspetto del lavoro. E non parlo di finezze legali, ma del livello di base di alfabetizzazione che ti consente di capire se le condizioni che ti vengono proposte sono eque. Le eccezioni sono spesso iniziativa di insegnanti intraprendenti, anziché un aspetto fondamentale che andrebbe considerato subito parte della formazione. Quello che so l’ho imparato per esperienza empirica*, o dagli altri illustratori, i quali a loro volta hanno imparato dalla propria esperienza. Il problema di questo metodo è che se sei agli inizi e il tuo gruppo dei pari sono quegli adorabili scappati di casa dei tuoi compagni, la mancanza di informazioni ti farà fare degli errori. (non vi sembra che somigli al modo in cui abbiamo scoperto le prime informazioni sul sesso? Più ci penso e più mi sembra un deja-vu. Caro Cioè, è vero che se bacio un ragazzo poi gli devo cedere i diritti per tutti i mercati e tutti i metodi di riproduzione della mia opera senza limiti di tempo? Tua, scorpioncino86) Quanto di tutto questo si potrebbe evitare dedicando un paio di lezioni al diritto d’autore e alle sue applicazioni? Perché il problema non è neanche accettare condizioni svantaggiose per sé stessi: è che alla lunga vuol dire erodere il lavoro di tutti.

* va detto che da qualche anno a questa parte Autori di Immagini ha iniziato una serie di incontri sul tema, per cui penso che l’atteggiamento generale stia cambiando. Insomma: magari mi sbaglio, e ne sarei contentissima.

3. Dati, dati, dati, datemi i dati!

Ah, il classico articolo sulle abitudini del freelance felice! Ricordati di dedicare tempo al tuo benessere, a te stesso, e ai tuoi cari! Non fare orari di lavoro senza senso! Ma guarda, ipotetico autore dell’ennesimo listicle, io mi ci dedico pure a dieci minuti di meditazione giornaliera e un’ora di moderata attività fisica tre volte la settimana, però tu in cambio dai un’occhiata al mercato del lavoro? O pensi che questi problemi ricorrenti siano frutto delle tendenze autolesioniste degli illustratori? Il mio sogno più sfrenato sarebbe una ricerca su questo mercato. Non tanto dal lato degli illustratori, per cui ci sono ottimi esempi come l’Illustrator survey di Ben The Illustratorriproposto nel 2018 da Illustri per l’Italia o quello recentissimo ed eccellente di Lisa Maltby che affronta anche il tema dal lato committenza– ma sul contesto in cui lavorano. Quali sono i contratti più comuni per le diverse aree (perché non ci sono solo i libri)? Qual è la media dei compensi? Quali sono le prassi più comuni? Esiste un gender gap? Voglio dire: lo dicono agli open day delle università quali sono i tassi di impiego per le diverse carriere, non avrebbe senso sapere anche quali sono le tue chance di sopravvivenza come giovane illustratore? Non tanto per me, che l’ultima volta che sono stata giovane stavamo ancora su Fotolog.

4. Senza gli altri si diventa matti

A me stare da sola piace. Proteggo la mia solitudine, ci sguazzo, oserei dire che me ne beo. MA. Ma l’illustrazione è di per sé un lavoro solitario, e la differenza tra crescere – umanamente e professionalmente – sono le persone che hai attorno. Sono quelle da cui imparerai, che ti diranno la verità, che ti aiuteranno a migliorare, ti sosterranno, che ti faranno mettere le cose in prospettiva quando prenderai così tanti no che ti chiederai se hai fatto la scelta giusta. Ah già, perché prenderai tanti di quei no, per cui senza pazienza, una buccia spessa due centimetri e una rete di persone a sostenerti è un attimo finirla in piazza con un cappellino in alluminio a parlare della minaccia rettiliana.

5. Quanto maldischiena!

Non riesco a ritrovare il contesto, ma una volta Paolo Canton dei Topipittori ha scritto che per fare l’editore ci vuole il fisico. Io mi sento di aggiungere che pure per fare l’illustratore. Sono una persona pigra. Pigrissima. Praticamente una lumaca sgusciata. Se c’è una cosa che vorrei poter tornare indietro e dire alla me del passato, giovane, tonica e con la schiena che ancora regge è: fai manutenzione. Fai manutenzione quando non ne hai bisogno, perché poi è un attimo trovarsi a trentasette anni e l’insegnante di yoga ottuagenario dall’anca bionica e il ginocchio sostitutivo è più in forma di te. Passerai un milione di ore alla scrivania, con una postura pessima, perdendo mazzi di diottrie davanti a Photoshop, cosa pensi che succeda? ‘Sta scioperata.

6. Nonostante tutto, è stata la scelta giusta.

Ma come, direte voi, ma non hai niente da dire sulla meraviglia dell’espressione artistica, la poesia del gesto e tutto il cocuzzaro del lavoro creativo? Ma amici, ma se non fossi convinta che questo sia uno dei lavori più fighi del mondo in generale e il mio preferito in particolare, ma vi pare che dopo sei anni saremmo ancora qui a parlarne? Se avessi un minimo di buonsenso sarei in Ogliastra a metter su a muretti a secco preparandomi a una vecchiaia fantastica, non a Milano a godermi la brezza tiepida delle ventole del Mac. Vi pare?

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